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Chengbi (sostenere le braccia): ma cosa c’è sotto questa pratica di qigong?

Immagine del redattore: Diego VaccariDiego Vaccari

Esperienza di pratica e riflessioni di D. Vaccari



Nonostante pratichi qigong da tempo, è sempre bello, anche se talvolta destabilizzante, scoprire che alcuni esercizi piacciano di più, e che la consuetudine possa portare a dimenticare la pratica di quelli che  piacciono meno.

Per me è soprattutto il caso della pratica degli esercizi statici, la famigerata troika: ZZ, la posizione ad L e chen bi.

Fino a qualche tempo fa, per quanto mi riguarda, la pratica degli esercizi statici era demandata agli spazi comuni di pratica, con Ramon, in presenza e/o on-line. Raramente, e soprattutto con discontinuità, entravano nel panel della mia pratica quotidiana. Ne intuivo la validità, per le briciole di esperienza raccolta, ma era come se quelle briciole non avessero ancora raggiunto la massa critica indispensabile per innescare quella necessaria relazione di amore “con” e “nella” pratica del qigong (ho proprio usato consapevolmente il termine “amore” in quanto, almeno per me, ne scopro sempre più nella pratica, ottenuta senza alcun intento volitivo, in quanto si sa: il cuore ha ragioni che la ragione non conosce!).

Del resto neppure bastò la recensione di un caso in Cina, di una persona che passò 8 ore (!!!) in chengbi. Sì, c’erano i presupposti come dire curativi, soprattutto nel caso di pressione alta, che avrebbero dovuto spingermi a praticare chengbi.

Ma mancava la scintilla che innescasse la reazione.

Come spesso accade, vieni “trovato” da qualcosa quando non lo cerchi.

E così “casualmente”, sistemando la mia biblioteca,  mi ritrovai tra le mani un  testo del 1988 di Coelho, L’alchimista. Era tanto tempo che non l’avevo tra le mani e sfogliandolo, mi trovai a leggere a pag. 160 (della mia edizione) il racconto della prova che il giovane alchimista doveva sostenere, di trasformarsi in vento, scoprendo, ed immaginando, che tale postura fosse proprio quella di chengbi.

Bè, nelle successive pratiche di chengbi, avendone forse intuito il senso di collegamento con il cosmo (in fin dei conti la postura richiama il simbolo della croce, ma anche il quaternario, e soprattutto personalmente mi porta alla attivazione del punto yintang, idealmente il punto di incrocio tra l’asse verticale e l’asse orizzontale), mi sono “naturalmente” trovato a praticarlo senza eccessive difficoltà, anzi direi con piacere.

Il tempo di pratica continua a dilatarsi, può forse far sorridere rispetto alle 8 ore, ma gli attuali 20’ fatti ogni giorno, per me sono significativi. Anche perché ricerco il momento della pratica di chengbi, e se non riesco, spesso ultimamente, ad essere in un luogo silenzioso, la sua pratica non ne è minimamente intaccata.

Un ultima cosa, sperando di non essere frainteso: ultimamente mi trovo spesso con un dolore nella zona temporale destra. Non ne so il motivo, ma a dir il vero, non mi importa, in quanto dopo la pratica di chengbi, il dolore sparisce e questo si aggiunge alla sensazione di centratura, di forza forte e di calma, quasi con una nuova visione del mondo.

Un ultima recente acquisizione, almeno per quanto mi riguarda, è relativa all'importanza dei piedi. Ho scoperto che la qualità della pratica aumenta decisamente, portando l’attenzione sul collegamento dei piedi “a” e “con” la terra: i piedi devono essere piantati a terra, tutta la pianta (per l’appunto) dei piedi deve essere bene a contatto con la terra, e per i talloni è veramente importante (almeno per me).

Grazie del tempo che mi avete concesso. E buon chengbi!

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