Come scegliere gli esercizi per la pratica del Qigong
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  • Immagine del redattoreRamon Testa

Come scegliere gli esercizi per la pratica del Qigong

Aggiornamento: 6 gen 2023

Incontro di domande e risposte con R. Testa (trascrizione di B. Baldan, correzione di G. Farina)


Marco:

Esistono dei criteri o linee guida per impostare un proprio programma di pratica quotidiano/settimanale? Ovvero, se uno volesse organizzarsi un programma personale, cosa dovrebbe fare? Io per esempio avevo cominciato facendo un giorno il primo livello, un altro giorno il secondo livello, il terzo giorno vari esercizi per poi ricominciare però mi sembrava un po' banale per cui mi domandavo se dovessi avere un fil rouge, seguire un addestramento personalizzato che mi aiutasse a evolvere. Questa era la domanda che avevo in testa.


Ramon:

Applicando il tuo programma hai notato qualche effetto? Adottando questo metodo hai ottenuto degli effetti?


Marco:

Non credo perché era discontinuo, spesso seguo l'ispirazione del momento, della serie: ma oggi che cosa ho voglia di fare?


Ramon:

Ciò che contraddistinguerà la discussione di stasera è che tutto è relativo, nel senso che non è sbagliato avere un atteggiamento in cui è l'ispirazione a suggerire cosa mi serve oggi, di che cosa ha bisogno il mio corpo oggi, anche se questo tipo di impostazione è più adatta a un praticante molto avanzato che ha effettivamente fatto un solido lavoro di base e che quindi può fare a meno di un programma regolare ed entrare in sintonia con il bisogno del momento applicando una certa pratica per creare un cambiamento.


Quello che secondo me manca in questa domanda di Marco è ciò che sta a monte del fil rouge o metodologia per qualsiasi pratica quotidiana o settimanale. La domanda che possiamo porci è:

Cos'è che ci spinge a praticare? 

oppure

Qual è il motivo per cui pratichiamo?


La risposta a questa domanda permette di rivelare tutto il movimento successivo, la motivazione, l'intenzione, il fatto di essere regolare etc. È la domanda che condiziona tutte le altre domande, le altre azioni che noi intraprendiamo nella pratica del Qigong.


È proprio perché Pang Ming aveva compreso questo aspetto che il Zhineng Qigong si è diffuso rapidamente rispetto ad altri tipi di Qigong. Con l’applicazione del Qigong alla cura delle malattie, ha trovato nei malati dei preziosi alleati in termini di motivazione, perché chiaramente chi ha un problema di salute importante pratica per quello, quella è l'unica motivazione, uno si sveglia la mattina e tutta l’attenzione va lì. Con una malattia invalidante quando ci svegliamo la mattina e per tutta la nostra giornata, le nostre discussioni, le nostre esperienze ruotano intorno a quello.

Dovrebbe essere la stessa cosa per il Qigong al di fuori del contesto di malattia.

La malattia in un certo senso ci facilita in questo; polarizza la nostra attenzione e se noi crediamo fermamente nel Qigong, sappiamo che le teorie sono valide, allora riusciamo a mettere insieme queste due cose e la preoccupazione della malattia e il credere nel Qigong divengono il carburante per una pratica costante, perseverante e nutrita dalla passione.


Se invece la nostra pratica manca di questo combustibile, di passione, allora anche se architettiamo un piano di esercizi, anche ben congegnato, il rischio è che poi manchiamo comunque l'obiettivo.

Un po' come nella storiella che è stata pubblicata oggi in cui il nipote di un allievo che va a trovare Pang Ming dice: "Ho degli esercizi da praticare per migliorare la miopia però non ho costanza, in tutte le cose che intraprendo arrivo a un terzo e poi smetto”. Se l’atteggiamento è: “questa cosa mi scoccia, è noiosa e alla fine non è così importante curare la miopia”, possiamo dire buonanotte alla pratica del Qigong.


In un certo senso non è tanto importante cosa si fa, ma come lo si fa e questo è l’insegnamento dell'esperienza del Centro. 


Sto parlando un po' a ruota libera  sovrapponendo un po' di cose, se non è chiaro quello che dico poi ci ritorno e provo a essere un po' più incisivo.


Nel Centro quando si è fatta questa ricerca sull’efficacia del Qigong una delle cose chiare che è emersa è che le persone guarivano (lo studio è stato fatto su 209 tipi di malattie) indipendentemente dal tipo di esercizio che veniva praticato: questo è un dato inconfutabile testimoniato dallo studio fatto. Quindi non era tanto importante il tipo di pratica, ma come si praticava o meglio come si usava la mente nel praticare.

“Come si pratica” non vuol dire che uno pratica bene e l'altro pratica male, ma come si usa la mente, come si applicano le teorie all'interno degli esercizi.

Questo è il risultato di uno studio durato sei anni, negli anni ’90, e anche se sicuramente non è stato condotto secondo la rigorosa metodologia che abbiamo ai giorni nostri, la quantità di dati raccolti è però formidabile.


Marco:

Tu in pratica stai dicendo una cosa che forse in cuor mio sapevo già, cioè che non è importante quello che fai ma come lo fai, con quale intensità e soprattutto con quale motivazione. Io posso dire quali sono le mie motivazioni personali per praticare il Qigong e trovo che questo Qigong mi dà molto stimolo per soddisfarle. Certo quello che dici fa riflettere profondamente, non è importante cosa fai ma come lo fai.

Io adesso sto sbattendo il cranio sul terzo livello che trovo al di là della mia portata ma nello stesso tempo mi stimola a cercare di impararlo e mi rendo conto però che è semplicemente per soddisfare il mio ego non per portare un vero contributo. Basterebbe un saliscendi o un Chenqi per tutta la vita.

Ramon:

Ma ci sta che uno ogni tanto apprenda dei metodi nuovi, nei miei piani c'è di introdurre alcune nuove pratiche nel laboratorio a partire da febbraio perché comunque abbiamo bisogno anche di rinnovamento e novità.

Non è che possiamo sbattere la testa per sempre o anche per dei periodi medio lunghi di 6 mesi o un anno sempre sulla stessa pratica senza mai variare.


Al di là di ogni ragionamento sugli esercizi, rimane fondamentale il discorso del perché, del ricercare la motivazione dietro una nostra iniziativa. Questa è una domanda che rischia di essere vista come pleonastica e a cui si risponde frettolosamente dicendo: “va beh ma in fondo lo so”. Ma quando diciamo sì lo so è perché non lo sappiamo veramente.

E se non sappiamo perché stiamo praticando, ce ne accorgiamo perché durante la pratica la mente molto facilmente divaga ed è un divagare diverso rispetto al divagare di un’incombenza, un pensiero o una preoccupazione contingente. È una distrazione che si presenta in modo costante, puntuale, e che ci fa capire che la nostra pratica diventa più come un abitudine, un qualcosa di ritualistico. È un po' come andare in chiesa la domenica perché lo si deve fare, perché lo fanno tutti.

Qual è la motivazione che mi fa tornare a praticare? Ogni accovacciata che facciamo nell’esercizio dell’Accovacciata al muro dovrebbe essere una nuova accovacciata, ma questo non è semplicemente un modo di dire per ispirare le persone a praticare con più passione. Per quanto mi riguarda questa cosa la posso fare solo se veramente sento questa connessione tra alto e basso, se veramente questo nutrimento è vivo e non solamente qualcosa di pensato, immaginato.

Allora in quel modo la pratica può essere qualcosa di diverso.


Giulia:

Anche a me è successo di iniziare a praticare senza avere ben chiaro perché, però mi sono accorta che la cosa che mi ha sempre più indirizzato è stata la mia curiosità nel vedere quello che succedeva e questo mi ha spinto a fare degli esercizi, pochi, e fare sempre quelli proprio perché mi sono detta che non è che perché faccio questo esercizio per 10 volte che chissà cosa può succedere, probabilmente devo farlo per l’appunto sei mesi, un anno. Nella scelta, ho puntato su quelli che mi facevano meglio, che sentivo rispondere più alle mie esigenze. Quindi il primo livello l'ho subito scartato, perché all'inizio non mi dava molta soddisfazione, e nel secondo livello ho scelto gli esercizi che mi facevano star bene, di cui sentivo che avevo bisogno e devo dire che effettivamente sono andata avanti per un sacco di tempo a fare solo quelli e ZhanZhuang, che era la mia passione. Penso che questa pura curiosità abbia sorretto questa pratica. Poi a un certo punto non succede più nulla di nuovo e lì penso che forse manca quel “salto” di visione, questo olismo di cui dicevi parlando dell'accovacciata, del sentire la connessione alto-basso. Grazie al laboratorio ho riscoperto alcuni esercizi che non facevo mai, che hanno risvegliato il mio interesse, e quando sono tornata a fare l'esercizio 5 che è il mio toccasana ho notato che qualcosa era cambiato. 

Quanto alla motivazione, per fortuna sto bene e sono grata di questo, e quindi sì, lo faccio per elevarmi, però la curiosità è stato un motore molto positivo perché stare attenta a cosa succede ha portato l'attenzione all'interno mettendo in moto tutto un movimento che continua ancora. Mi chiedo se questa può essere una corretta modalità di approccio.


Ramon:

Per me la curiosità è molto importante. È proprio quello che ci mette al riparo da una pratica ritualistica e abituale.

In alcuni casi abbiamo bisogno anche della pratica ritualistica perché ci possono essere dei periodi in cui non sperimentiamo difficoltà interne ed esterne all’esercizio e quindi ci fidiamo delle parole dell'insegnante che ci dice: “Pratica questo esercizio, praticalo per un tot di tempo e vedrai dei risultati”. A volte noi stiamo in quella pratica, stiamo il tempo richiesto ma non vediamo alcun risultato: possiamo accettare che per alcuni periodi si possa navigare al buio, per così dire, però di fondo, in una pratica normale, ci deve essere questo elemento di curiosità. Se c'è la curiosità ogni momento è un momento nuovo e così siamo “sul pezzo”.


Quando dico aspetto ritualistico mi riferisco proprio a compiere un gesto in modo vuoto, in cui c'è solo la parvenza di quello che dovrebbe esserci mentre il contenuto è assente. 

Chiaramente io non dico che dobbiamo forzarci ad avere dei problemi fisici per praticare il Qigong, ci mancherebbe, però possiamo prendere spunto dalle persone che praticano in questo modo, leggendo ad esempio il libro dei 101 miracoli, per capire com'è il loro atteggiamento.


Un altro aspetto della pratica che di solito fa arrovellare i principianti ruota intorno al dilemma se praticare più esercizi o prediligerne uno solo.

Per rispondere a questa domanda si ricorre di solito all'esempio della pentola e dell'acqua (anche se qui bisognerebbe fare un distinguo perché la pratica di ZhanZhuang può essere fatta da sola in quanto deve durare almeno 30 minuti mentre per l'esercizio n. 3 della sequenza di secondo livello,, ad esempio, difficilmente all'inizio riusciamo ad andare oltre i 10 minuti e risulta quindi difficile far ruotare tutta la pratica intorno a un solo esercizio). Quando accendiamo il fuoco per scaldare una pentola d'acqua, prima che l'acqua si metta a bollire, il fuoco la deve a poco a poco scaldare per bene: così è anche per l'esercizio, abbiamo bisogno che faccia il suo lavoro prima di vederne i frutti.

Quindi è importante che ci si dedichi a una o a poche pratiche, mantenendole regolari per un certo periodo di tempo.


L'ego che ricerca le novità ci sarà sempre, non abbiamo bisogno di negarlo; possiamo dare in pasto all'ego qualcosa di nuovo e attraente pur sapendo che quella probabilmente non sarà la via per riuscire ad andare in profondità, ma riuscendo così a mettere a tacere quella parte non salutare di noi stessi che ha quel tipo di richiesta.  


Silvia:

Trovo curioso e interessante il fatto che, al centro, uno guarisse a prescindere dal tipo di esercizio che praticava. 

Anch'io ho cominciato a praticare curiosando perché per me era abominevole pensare di diventare una persona disciplinata e costante, e in verità tu hai ragione Ramon a parlare della malattia che spinge a praticare di più, ma la realtà è che se non pratico io non sto così bene.  Non ho la cultura della persona costante, però se non pratico per uno o due giorni lo sento immediatamente, sia a livello della mente che a livello del corpo. E aggiungo così anche l’importanza dell'osservazione del proprio stato, perché se uno non ha allenato l'osservare il proprio stato non arriva a sentire la differenza tra quando pratica e quando non pratica. 

Però allora perché se tutti guariscono con qualunque esercizio dobbiamo scegliere? 


Ramon:

In fondo questa domanda potremmo porla a Pang Ming: "ma se con il saliscendi si guarisce tutto perché noi dobbiamo praticare altre cose"? 

La risposta è contenuta nel testo “L’ascensore del Zhineng Qigong”, e per dirla in modo un po’ brutale è perché non possiamo romperci le scatole con un solo esercizio in eterno e inoltre perché ci sono dei criteri oggettivi, che non possiamo non considerare almeno un po’, e che riguardano di più la coltivazione del qi.


Nel Centro Huaxia le persone guarivano a prescindere dal tipo di esercizio e la cosa importante era quindi l'uso della mente. L'effetto principale era a livello della mente. Applicando un certo tipo di atteggiamento, applicando i principi del Zhineng Qigong, si arrivava a risolvere la malattia. In questo senso il lavoro che si faceva nel Centro era un lavoro di alto livello. Guidati da Pang Ming, i suoi istruttori guidavano a loro volta i pazienti a “non credere” alla malattia. L’invio del qi, le pratiche etc. avvenivano sullo sfondo di un atteggiamento completamente nuovo nei confronti della propria condizione fisica. Mi viene da dire che non si credeva a ciò che avveniva nel corpo ma si credeva invece a ciò che il ZQ dice e a ciò che la mente può fare. È per questo che le pratiche contavano poco, è importante contestualizzare questo dato.


Ora, noi non siamo nel Centro, non siamo all'interno di un luogo dove ci sono 4000 persone che credono ad un nuovo mondo, a un modo alternativo di considerare sé stessi: non più solo come materia fisica che va “aggiustata”, ma con la mente che fa uso di questo qi per andare a modificare il corpo.

In quel luogo c'era la possibilità di accedere a un campo di conoscenze che in un certo senso è andato perduto. E, sempre in un certo senso, quello che stiamo facendo è di provare a rivivificare questo mondo con la difficoltà di essere immersi in informazioni spesso opposte a quelle che sappiamo essere state presenti nel Centro.


Poi, col passare degli anni, oltre a quanto già detto, Pang Ming vide che anche se con questo approccio si erano ottenuti dei risultati straordinari, i problemi fisici che erano stati risolti potevano rimanifestarsi e che quindi c'era bisogno di fare un lavoro più incisivo a livello del corpo fisico. 


Se noi guardiamo le due sequenze (I e II livello del Zhineng Qigong) possiamo notare che la seconda è una sequenza che permette di lavorare più in profondità a livello corporeo. 

Nel 2019 il maestro Peng che è istruttore di ZQ ed è anche stato segretario personale di Pang Ming, diceva che se noi creiamo un cambiamento nel corpo con esercizi più mirati al “cambiamento fisico”, è più semplice poi mantenere gli effetti positivi della pratica: il corpo va incontro a dei cambiamenti, questi cambiamenti strutturali conservano più a lungo queste nuove informazioni e il qi. Mentre se noi usiamo pratiche come laqi, Pengqi guanding fa etc., anche se possiamo ottenere dei cambiamenti strepitosi, tuttavia il rischio di ricaduta, se la mente non è stabile, è molto più reale. È un po' su questa base che si può fare una prima distinzione fra i due approcci che ci sono alla pratica del Qigong. 


Se non si sa come impostare la pratica, queste informazioni possono dare degli spunti interessanti per una scaletta settimanale.


Anche fra gli esercizi del primo livello, accanto a pratiche come Pqgdf, Laqi etc, che possiamo definire “morbide” perché il vero lavoro che svolgono è a livello della mente, sono presenti altre pratiche come saliscendi, Roufu, Chenqi , Zhanzhuang che di certo non sono pratiche morbide o che lavorano facendo solo uso della mente. Ecco, queste pratiche svolgono un lavoro importante a livello fisico anche senza dover parlare di “lavoro sulle fondamenta”. 

Semplicemente possiamo dire che il lavoro sul corpo è un lavoro importante perché è mirato a creare un cambiamento fisico, nella struttura. 

Nella descrizione di Xing Shen Zhuang, Pang Ming dice che l'esercizio porta proprio a modificare il corpo, modificare la struttura del corpo, quindi a cambiare il corpo. Il senso di poter avere un corpo con una struttura diversa è poter accogliere meglio i cambiamenti del qi all'interno e rendere questi cambiamenti stabili.


Marialuisa:

Quando parli di struttura del corpo cosa intendi? Non soltanto la postura ma l'interno del corpo? Nel senso di modificare anche certi valori del corpo, del sangue ?


Ramon:

Con struttura mi riferisco soprattutto alla struttura articolare. Ad esempio l'esercizio numero 2 o il numero 3 di Xing shen zhuang possono modificare il portamento e la struttura del torace stesso, dello sterno, delle costole e la flessibilità del tratto dorsale.

Per quanto riguarda il primo esercizio tutto il lavoro è sul tratto cervicale. Nel manuale si dice appunto che il lavoro è a livello di tendini, muscoli, articolazioni, ossa e poi ancora più in profondità, perché il lavoro è sicuramente a livello dei meridiani e del qi, ma è anche la muscolatura a cambiare. Abbiamo bisogno che ci sia una certa intensità per apportare questi cambiamenti che interessano tutto il sistema muscolo-scheletrico e in particolare la colonna vertebrale.


Chiaramente questa intensità va applicata con certi parametri. L'esempio più banale che viene da fare riguarda l’esercizio dove dobbiamo rimanere con le braccia alzate lateralmente. Quando questo esercizio viene fatto fare a persone che vanno in palestra, o che fanno pesi, questo esercizio, o anche ZhanZhuang, diventa faticosissimo, quasi inavvicinabile: le persone iniziano a tremare e a sudare copiosamente. Proprio perché il tipo di muscolatura e probabilmente le strutture che vengono usate sono diverse, vengono sollecitate in un modo diverso e quindi in questo senso la pratica del Qigong che richiede un’intensità fisica non va fraintesa come semplice esercizio muscolare o semplice stretching. C'è una qualità, ci sono dei parametri che non esistono facendo un altro tipo di pratica dove manca la conduzione a partire dal qi.


Alida:

A proposito di palestra posso fare un esempio personale che riguarda proprio il mio trascorso di palestra piuttosto intenso, con conoscenza ancora zero del Qigong.

Approcciandomi all'arte del tiro con l'arco, ma solamente con utilizzo dei muscoli, mi sono spaccata i tendini della spalla sx. In seguito, approcciandomi al Qigong ho compreso che in realtà i miei muscoli erano vuoti dentro, non saprei usare un termine diverso. La mia istruttrice di tiro con l'arco vedendomi tutta bella muscolosa mi diceva: “ma prendi l'arco da 36 libbre, tanto tra qualche mese dovresti cambiarlo”, ma io non riuscivo a tenderlo pur essendo muscolosa e palestrata. Quel tipo di disciplina prevedeva infatti un altro impiego della mente, che era focalizzata sul muscolo e basta, tanto che poi l'arco l'ho appeso al muro. Questo per collegarmi a quello che dici tu che sono due mondi differenti. Quando ti addentri in una disciplina che utilizza la mente ti rendi conto che quei muscoli lì sono vuoti perché non c'è quell'accumulo di qi necessario per poter arrivare un po' più in là.

Detto questo rimane di fondo la mia perplessità dettata da un periodo in cui, dopo tanto praticare e magari anche momenti di vuoto con la pratica, mi riesce difficile rimanere concentrata con la mente. Non c'è più tutta quella curiosità di cui parlava prima Giulia, ma ci sono delle necessità di salute. Ecco perché avendo conosciuto tanti esercizi sono consapevole che l’ottenimento di un risultato non dipende tanto dall'esercizio che svolgi, ma dalla capacità di concentrazione, che però è preceduta dalla motivazione addotta dalla malattia: riconquistare l'equilibrio e la salute. Mi fermo qui.


Ramon:

Su questo si può dire che anche nel trovare l'esercizio adatto in una situazione di difficoltà, abbiamo bisogno a volte di sperimentare diversi esercizi prima di trovare quello che fa per noi. Dobbiamo sperimentare fino a trovare, a sentire che è scattato qualcosa. Qualcosa vuol dire che l'esercizio entra in risonanza con noi, sentiamo che quell'esercizio può darci qualcosa e da lì si può iniziare questo processo di pratica che riequilibra il qi.


Una delle cose che viene spesso detta quando si parla di questo argomento è che "la pratica che crea maggiore difficoltà è la pratica giusta" perché di solito quel tipo di pratica mette in evidenza una nostra mancanza, un deficit del qi ed è quindi lì che dovremmo lavorare. A questa mancanza dobbiamo piano piano porre rimedio ma non per forza a testa bassa perché qualche volta l'esercizio può essere particolarmente ostico, difficile da approcciare. Mi viene in mente il saliscendi che per tante persone è veramente molto complicato. Se un esercizio ci mette in grande difficoltà questo ci dà un punto di partenza per fare delle riflessioni. Se non riesco a fare il saliscendi e continuo a cadere indietro vuol dire che ho delle forti rigidità a livello delle anche, delle ginocchia, della lombare e queste rigidità mi stanno dicendo che sono il sintomo di un qi che non scorre e se rinuncio perché non mi viene bene passando a un altro esercizio cosa ci guadagno? Capite bene che un altro può darmi più soddisfazione ma poi qual è la motivazione che può spingermi a continuare un esercizio che mi viene bene?


Facendo un discorso generale dobbiamo trovare un esercizio con cui confrontarci che ci permette di riconoscere noi stessi, come stare davanti a uno specchio per migliorarci e migliorare il qi, per renderlo più fluido.


Prima di concludere volevo rispondere a Simona in merito alle difficoltà dei principianti.

Simona scrive "la mia difficoltà più grande è sentire, visualizzare il qi"


Simona:

Posso fare un esempio di quando accade. Oggi quando dopo il saliscendi suggerivi di riversare dall'alto, ecco, lì non so che cosa devo fare, non so cosa devo visualizzare esattamente. Vado a tentoni.


Ramon:

Prova a pensare che sei un’insegnante e stai dando queste istruzioni a un bambino di 5-6 anni. Come può percepire queste indicazioni un bambino?

Se tu dici una cosa del genere non ti chiederà: “Che cosa devo fare?”. Raccoglierà il cielo, il cielo entra dalla testa, tutto si espande all'interno, diventa limpido, sereno come il cielo. Il bambino replica queste informazioni senza nemmeno pensarci un attimo perché capisce che siamo nella dimensione del gioco e non abbiamo bisogno di fare nulla se non applicare direttamente.

Mi rendo conto però della domanda che fai perché è un problema che mi sono posto anch'io agli inizi ma non c'è una risposta sul piano degli adulti, deve essere qualcosa di immediato.

Riverso all'interno e sento questa cosa e non è neanche tanto da visualizzare. La visualizzazione può essere un aiuto se c'è, a me in realtà non viene tanto facile, ho sempre avuto un po' di difficoltà e mi veniva mal di testa quando mi sforzavo. Più che un pensare vero, io penso che succede questo e lo faccio, punto e basta.

In Cina, alle persone che all'inizio avevano difficoltà a capire questo aspetto, si diceva di guardare ripetutamente il cielo e poi di chiudere gli occhi e pensare all'interno, di nuovo guardare il cielo limpido più volte durante il giorno e poi chiudere gli occhi e pensare all'interno per creare una connessione. Possiamo fare anche questo.


Simona:

E al livello di percezione quando facciamo il Laqi?


Ramon:

La percezione c'è quando c'è, mentre se non c'è percezione non c'è. Questo vuol dire che non possiamo forzare il processo. Anche qui possiamo usare la suggestione di pensare allo spazio, al cielo, quando apriamo e portare il cielo all'interno quando chiudiamo. In realtà questa percezione tra i palmi non è così importante, semplicemente a volte facilita la pratica perché ci dà un ulteriore riferimento. Però dobbiamo ricordarci che ogni riferimento è comunque connesso al sistema di riferimento e anche percepire il qi è qualcosa che può bloccarci, può essere un riferimento ulteriore da superare. La percezione del qi a un certo punto arriva e se c'è la consideriamo e se invece non c'è non fa niente.


È necessario spendere infine qualche parola per chiarire cosa intendo con lavoro fisico, sull’intensità. Mi accorgo che se noi diciamo che è importante fare un lavoro sulla struttura corporea per rendere stabili i risultati della pratica, quindi un lavoro con gli esercizi più tosti, sembra esserci una contraddizione con quello che facciamo nel laboratorio, dove invece diamo importanza al lavoro con la mente.

Qui si parla di mente in due modi diversi.

Quando noi parliamo di mente nel primo livello parliamo di come la mente va a utilizzare il qi. Questo rischia di essere un discorso un po' tecnico ma lo facciamo comunque.

Nel primo livello la mente lavora con il qi, ovvero la mente pensa a cosa fare con il qi, il corpo entra in gioco in un secondo momento, è una specie di terzo incomodo. Quindi la mente viene utilizzata per un certo fine, non andiamo a comprendere quali sono le meccaniche della mente. La mente in Pqgf e in laqi la utilizziamo per coltivare il qi ma non scopriamo un bel nulla della mente.

Nel lavoro che facciamo con il laboratorio invece l'attenzione è totalmente rivolta alla mente. Quindi si dice nel primo livello mente e qi si equivalgono mentre nel lavoro che facciamo nel laboratorio il lavoro è della mente sulla mente, cioè la mente osserva se stessa. In questo modo piano piano andiamo a disfare il sistema di riferimento, ovvero ne indeboliamo il legame.


Anche nella guarigione un conto è usare la mente per muovere il qi e ottenere una serie di effetti a livello del qi. Diverso invece è lavorare sulla mente per modificare la mente stessa, nel senso di comprendere le sue meccaniche, e cambiare quelli che sono i percorsi abituali della mente che a loro volta modificano il qi. Il vantaggio di questo lavora con la mente è che questo tipo di lavoro lo possiamo fare tanto nella pratica quanto al di fuori della pratica. Questa è la cosa interessante, perché noi dedichiamo alla pratica mezz'ora, se va bene un'ora al giorno, e poi però abbiamo 23 ore dove la pratica non esiste ma la mente continua a lavorare attraverso le sue dinamiche abituali.


Giuseppe:

Per me la domanda critica è perché non pratico


Ramon:

Se non abbiamo la motivazione poi alla fine non pratichiamo.

Invece che forzarsi a praticare sarebbe meglio stare lì e provare a “meditare” o semplicemente chiedersi perché non pratichiamo. Perché la pratica del Qigong è meglio di una passeggiata, di andare a bersi un caffè con un amico? In questo modo potremmo scoprire quali sono le idee con cui ci mettiamo a praticare.

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