Insegnare il Qigong agli anziani
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  • Immagine del redattoreGiulia Farina

Insegnare il Qigong agli anziani

Qigong forOver: linee guida per sintonizzarsi di G. Farina

Giulia e Diego con le "ladies"

Un piccolo gioco di parole ha dato nome a questa mia “avventura”: strizza chiaramente l’occhio a qigong forever (il mio personale atteggiamento verso il qigong) e ingloba i destinatari in compagnia dei quali ho scelto di… avventurarmi. Questo mio gesto è diventato un progetto patrimonio di ZQI (Zhineng Qigong Italia) e l’auspicio è che possa diffondersi, crescere, come una “voce di vento sottile”.

Perché l’auspicio abbia delle chances bisogna che si diffonda tra noi, docenti dell’associazione, il desiderio di esserne partecipi.


Un brevissimo preambolo…

Vengo dal taiji e da altri qigong, che ho anche insegnato, ma il Zhineng Qigong è stato per me un’esperienza decisamente diversa, mi ha investita a tutto tondo. Quando ho finito la formazione, ho sentito il bisogno di non tenere questa ricchezza chiusa in me, ma di donarla a chi può averne più bisogno e più giovamento: ho scelto le persone anziane, magari sole, con fragilità o disabilità, con poche disponibilità economiche. Mi sono perciò rivolta a una onlus di assistenza agli anziani e ho offerto il mio tempo e il mio insegnamento.


… e una precisazione

Queste paginette che ho scritto nascono dal desiderio di condividere la mia esperienza perché possa “contagiare” altri e regalare loro la gioia e le “diecimila cose” che dalla gioia scaturiscono. Tra le altre, un’esperienza nuova e particolare del concetto di coerenza; anzi, non del concetto, direi proprio della “prassi” della coerenza: avere una visione e darle forma e concretezza è un gesto di coerenza. La coerenza genera ordine, semplicità. Placa l’agitazione.

Dunque, linee guida. Non hanno nessuna pretesa di essere “la verità”; sono solo il risultato della mia esperienza, che è iniziata nel 2018 con un gruppo di donne (non è stata una scelta, naturalmente, sono arrivate solo loro…) della periferia, praticamente tutte o immigrate, sia pure italiane, o extra comunitarie, e di età compresa tra 68 e 89 anni. Con cadenza settimanale, ho insegnato alle mie Old Ladies come prendersi cura di sé con il Zhineng Qigong.


Alcune riflessioni sull’insegnare agli anziani

• Fin dal primo incontro ho capito che avrei dovuto “inventarmi” un percorso ad hoc e che per farlo dovevo immedesimarmi nelle persone che avevo davanti, dovevo guardarmi con i loro occhi e capire che cosa si aspettavano da me.

• Mi è stato chiaro che per prendermi cura di loro dovevo insegnar loro a prendersi cura di sé. Prendersi cura è un gesto d’amore: devo trovare quel gesto dentro di me se voglio propagarlo fuori di me. Questo è stato il punto di partenza.

• Ho dovuto tirar fuori tutta la mia capacità di osservazione per vedere i loro limiti e capire quali dovevo rispettare, quali potevo gentilente contrastare e come: con quali tempi, quali stimoli, quali aiuti. E quanti sorrisi…

• Insegno le stesse cose che ho appreso dal mio maestro, ma non le insegno nello stesso modo in cui mi sono state date. Le persone che ho davanti non hanno già praticato discipline di questo genere (tanto meno vogliono diventare istruttrici di zhineng qigong!), spesso non vengono a questi corsi per loro scelta, perché cercano qualcosa, e neppure sono in cerca di se stesse: vengono perché i Custodi Sociali o le associazioni di volontariato glielo hanno proposto, e capita magari che per semplificare glielo abbiano presentato, ahimè, come una ginnastica dolce per anziani...

• Non sono allievi normali, richiedono una didattica completamente diversa, molto flessibile, senza grandi “distinguo” (almeno all’inizio) e hanno bisogno di farsi nascere dentro la fiducia in chi li vuole guidare e in ciò che usa per guidarli.

• Gli anziani, specie quelli delle case popolari delle periferie, hanno alle spalle vite complesse, difficili, magari dure; spesso vi hanno fatto fronte “indurendo” qualche parte di sé, irrigidendosi, bloccandosi... Ho grande rispetto per ciò che si portano dentro, ho l’impressione che sia qualcosa di sacro, nel bene e nel male è il frutto della vita di un cuore e di una mente. Non è solo questione di aver pazienza, con loro. C’è da saperli “leggere”, e oltretutto sono un pozzo di insegnamenti preziosi.


Piccoli spunti per la didattica

Al primo corso ne sono seguiti altri perché il passaparola è stato generoso. Qui vi riassumo come ho tenuto… il timone della mia prima esperienza.

• Ho fatto una presentazione del corso con il minor numero di parole possibili mettendo in risalto soltanto il fatto che la ginnastica è quella cosa che si fa col corpo intanto che la mente pensa a cosa cucinare per pranzo!, mentre invece nel qigong la mente accompagna ogni movimento del corpo, perché così per prima cosa non ci si può far male (argomento molto sensibile per gli over 80!) e per seconda cosa si fanno delle scoperte... Non dico quali, lascio sempre un piccolo spazio alla curiosità, perché ritengo che sia un “motore” potente.

• Son partita dal contatto con il corpo. Quindi esercizi di propriocezione per “risvegliare” il corpo, riscaldarlo, far circolare il sangue... E da lì in poi ho usato tutta la mia capacità di “osservare per vedere”: ho visto limiti sia fisici (alcuni dati dalla vecchiaia) sia non fisici (probabilmente un mix intricato di problemi/difficoltà caratteriali, psicologici, culturali...).

Ho ritenuto troppo “lontana” dalla forma mentis delle mie Old Ladies, come mi piace chiamarle, la pratica del Pengqiguandingfa. Quindi sono partita proponendo gradualmente esercizi dalla forma Xing Shen Zhuang, o anche solo pezzi di esercizi, singoli movimenti; in sostanza, ho frammentato e poco per volta ho provato a ricomporre. Mi avvalgo anche di movimenti non necessariamente del Zhineng Qigong (per esempio movimenti per sciogliere le singole falangi delle dita, o polsi, gomiti ecc.)

• Ricorro sempre al quotidiano e conosciuto per sostenere le mie affermazioni; la teoria la faccio “emergere” dall’esperienza della pratica. Anche il linguaggio è inizialmente generico: l’energia è energia, è diventa qi quando ho capito che era arrivato il momento di chiamarla qi.

• Insomma, bisogna procedere senza fretta e senza demoralizzarsi se non si vedono risultati. Caso mai cercare un’altra via per superare lo scoglio (in questo la fantasia mi aiuta!). Serve grande pazienza da entrambe le parti, anzi, lo dico meglio: ho visto che è la mia disposizione partecipe che rende la mia pazienza serena e anche un po’ gioiosa, e giocosa, e questa contagia le mie Ladies e le mette nello stesso stato d’animo. E di questo si accorgono, e allora è già qualcosa... anche se la volta dopo si ricomincia tutto daccapo. Quando vedo un progresso glielo faccio notare, perché la loro capacità di osservarsi e notare i cambiamenti è la base della consapevolezza che voglio aiutarle a costruire. Poi, quando vedo un progresso non lo dico più ma chiedo a loro come è stata l’esperienza, e un po’ alla volta “vedono”.

• Attenta a non metterle a disagio, le guardo sempre mentre guido la loro pratica: come potrei prendermi cura di loro a occhi chiusi? E d’altronde, loro come potrebbero aver fiducia che mi prenderò cura di loro se vedono che non le guardo? Quando capisco che si fidano, propongo di praticare un esercizio a occhi chiusi, e allora le posso guardare ancora meglio, senza timore di metterle a disagio.

• La prima volta chiedo sempre il permesso di toccarle per correggerle. Aiuto sempre quelle che fanno movimenti sbagliati, cercando il tocco più gentile ma efficace di cui sono capace e fermandomi sulla soglia di storture o dolori che devo rispettare. Col tempo qualche soglia si alza…

• Alterno con frequenza pratica in piedi e pratica seduti per non stancarle. Faccio fare da seduti esercizi, o movimenti di esercizi, che “sarebbero” da fare in piedi.

• Non chiedo mai di focalizzare più di una cosa per volta; piuttosto, propongo una nuova ripetizione dell’esercizio con un focus diverso.

• Prima di parlare di respirazione lascio che la pratica diventi familiare, dico loro che quando l’esercizio è a posto anche il respiro lo è, il respiro non è il punto di partenza ma di arrivo.

Spesso dalla pratica scaturiscono domande o questioni: per esempio una volta sottolineavano come le rigidità avanzassero con l’età e avevano un che di rassegnato. Ho suggerito loro di vedere le rigidità del corpo come riflesso di quelle della mente e di vedere quelle della mente come un movimento di “chiusura”. Abbiamo parlato di apertura e chiusura, della necessità di entrambi i movimenti per respirare e abbiamo quindi respirato a occhi chiusi concentrando la mente su aprire e chiudere. Il risultato è stato molto intenso.


Pensavo che ci volesse del tempo per poter parlare di qi, di potere della mente, di autoguarigione; che magari non sarebbe arrivato mai il momento di poterne parlare apertamente e che non avrei potuto proporre esercizi come sollevare il qi e riversarlo oppure laqi. Invece è stato possibile. Avevo dei pregiudizi! Si tratta di capire da che parte “entrare” per avere ascolto e di stabilire una relazione tra la loro pratica del qigong e la loro vita quotidiana. Naturalmente senza fare assolutamente della teoria. Ci vuole dell’empatia alla base della didattica: io le osservo molto, vedo posture, e storture, rigidità, paure, inconsapevolezza di cosa c’è dentro di noi anche a livello semplicemente fisico, anatomico direi… e mi lascio guidare dalla dolcezza di quella situazione: il mio esser lì per loro e il loro esser lì, forse anche un po’ inconsapevole, per se stesse, e per affidarsi.


Più si fidano, più si affidano: un passo per volta, senza fretta, ho incrementato questo trend a tutto vantaggio del loro qigong. Sul finire del primo anno, ho proposto alle mie Old Ladies “sollevare il qi e riversarlo” e loro lo hanno seguito con semplicità e serietà, e molte hanno voluto poi condividere le loro sensazioni. È nata una confidenza verbale anche intima.


Un esempio

Dell’esercizio n.2 ho proposto inizialmente la sola rotazione delle dita, eseguita da seduti, tenendo le mani davanti a sé, sospese vicine, così da non stancare braccia e spalle. Numerose lezioni non bastano ad ottenere una buona rotazione delle dita! Ovviamente non posso insistere a lungo su un solo movimento, soprattutto all’inizio, ma non bastano soprattutto perché per loro è difficile separare mano, polso, avambraccio... distinguere un movimento da altri che gli sono “contigui”. Inoltre, ho notato che le difficoltà che praticamente tutte incontrano sono dovute in piccola parte a “ruggini” delle articolazioni e in gran parte a incapacità di vario tipo: di ascoltare quello che dico, di osservare quello che faccio e metterlo a confronto con quello che fanno loro; di concentrarsi solo su quello che stanno facendo; di distinguere che cosa esattamente stanno muovendo; di porsi un traguardo; di avere pazienza...

Tornando al movimento dell’esercizio n.2, per esempio le aiuto a considerare la differenza esterna e visiva tra il movimento corretto e quello scorretto (che magari faccio fare muovendo io la loro mano nell’uno e nell’altro modo); praticati entrambi, le invito a cogliere anche la differenza interna, le diverse tensioni muscolari coinvolte; poi suggerisco di chiudere gli occhi per mettere più a fuoco quelle sensazioni; poi sottolineo che quel movimento corretto aiuta a rilassare il polso, e dico: “quel polso che ogni giorno porta pesi, tira, spinge, si torce, obbedisce sempre al vostro volere... e allora, in primo luogo gli dovete della gratitudine e in secondo luogo dovete averne cura” e dico anche che focalizzare la mente sul polso quando gli si richiede uno sforzo può alleviare lo sforzo, e magari prevenire una distorsione...


Per concludere

Insomma, durante la pratica insinuo momenti di consapevolezza e resto ogni volta sorpresa dai risultati che danno. Non sono risultati eclatanti, ma vedo occhi che mi guardano tra stupiti e interessati, e mi stimolano a cercare i modi per ampliare quei piccoli varchi che si vanno aprendo. Così intanto imparo ad affinare le mie capacità di osservare, ascoltare, dedurre, assecondare... insomma: pratico!


Pur senza renderlo evidente, accompagno sempre il lavoro fisico con un lavoro mentale. Per familiarizzarle con il proprio corpo ho appeso nella stanza dei piccoli poster che ho fatto, prendendo delle immagini da internet: uno scheletro visto fronte-lato-retro e uno “spaccato” del torace, con tutti gli organi interni (oltre al famigerato “rotolo di seta” e altro in tema). Ho pensato che una “mappa” aiuta sempre a orientarsi. Spesso spiegando un esercizio li ho usati per mostrare “chi” si doveva muovere o “dove” portare la mente.


Durante le lezioni, a guidarmi è il mio desiderio di “far arrivare” il messaggio del ZQ, non solo la volontà di insegnare la “tecnica”. Le persone a cui insegno non hanno una “mappa” né del proprio corpo né del proprio essere nel mondo, anzi: al mondo. Io vorrei esser capace di far sorgere in loro il desiderio di tracciarsene una.


Un sociologo ha scritto che la nostra società ha una grave colpa: anche se si premura di dargli ogni confort e assistenza, parcheggia i vecchi alla periferia della vita sociale e in questo modo rende inservibile la loro esperienza di vita, il sapere che hanno acquisito sul campo; chi scriveva diceva proprio la loro saggezza. Parole sante!


Ho osservato molto questo gruppo di anziane, il loro modo di mettersi in relazione (con se stesse, con me, con le altre, con il qigong), e ho preso atto di una diversità tra le straniere e le “nostrane”: si è inizialmente palesata nel modo di manifestare il loro forte sentimento di gratitudine, che le prime hanno espresso subito con poche parole e gesti semplici, per esempio un abbraccio avvolgente, nel quale avverto la loro presenza. Le italiane si sono “accodate” a queste manifestazioni, ma il loro abbraccio è diverso, pur se sincero: non “aderisce”.


Non sto andando fuori dal seminato: queste considerazioni si legano al Zhineng Qigong perché riflettono un approccio diverso che culture diverse sviluppano nei suoi confronti. In generale, ma ci sono eccezioni - come sempre - le italiane sono esseri più “sociali” (e quindi mediati, “lambiccati”, sulla difensiva ecc.) mentre le straniere sono esseri più “naturali”, essenziali. Guardando le cose dalla prospettiva del Zhineng Qigong, direi che è diverso il sistema di riferimento.

(Probabilmente, epoche fa eravamo ancora così anche noi… c’è da riflettere…)

Questa diversa matrice per esempio dà luogo a diversissime reazioni di fronte alla scoperta di qualcosa che non hanno mai sperimentato, che avvertono ma non sanno cosa sia: il qi.

Una volta, dopo una delle prime pratiche di sollevare il qi e riversarlo, una sudamericana con un grande sorriso della bocca e degli occhi ha fatto il “pollice su”, ha detto semplicemente wow, forte! grazie!, e ha battuto le mani di contentezza (e senza volerlo ha innescato un applauso).

Una volta, dopo una pratica di laqi, un’italiana ha testimoniato con visibile emozione ma anche imbarazzo e quasi un po’ di spavento l’esperienza fatta, un’esperienza molto forte - racconta - e quasi non sa bene se le fa piacere o no avvertire questa strana “consistenza” tra le sue mani, ne ha quasi un po’ paura. E mentre parla si agita perché le altre stanno zitte e la guardano, e d’un tratto sbotta: ma voi non avete sentito nulla?, nessuna di voi? Non so dire se amiche le hanno detto sì per tranquillizzarla o per non sentirsi escluse…


Credo sia importante cogliere tutte queste manifestazioni, queste differenze. Riflettendoci, si possono ricavare indicazioni utili sia per la propria pratica personale sia per l’insegnamento.

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