Qigong: gesto tecnico o gesto di "qi"?
- Marialuisa Floriani

- 2 giorni fa
- Tempo di lettura: 5 min
di M. Floriani #zhinengqigong #qigong #xingshenzhuang #pangming

Quanto è importante la tecnica nel Qigong?
Cosa curare maggiormente nell’insegnamento, e conseguentemente, nell’apprendimento, del Qigong: la tecnica o lo stato di qigong?
E nella pratica personale?
Queste ed altre simili sono domande ricorrenti nelle classi di Qigong, e poco importa il grado di pratica: principiante, avanzato, insegnante.
Personalmente ho smesso di porre questa domanda agli altri, ma essa ogni tanto riemerge comunque, sollecitata da uno stimolo esterno o da rinnovata curiosità intrinseca. A volte la lascio cadere, altre mi ci soffermo. Nasce così questo testo, che dà forma alle mie riflessioni.
Sono sempre stata convinta, per indole ed educazione, che la padronanza della tecnica è importante in qualsiasi disciplina, e così è stato anche nel Qigong.
Ma fin da subito non è stata certamente la tecnica ad ammaliarmi. E neppure la ricerca di benessere psicofisico, benché fosse stata la molla che mi ha spinto ha iniziare il corso di Qigong. Ciò che fin da subito mi ha affascinato e convinto a perseverare nella frequenza del corso e nella pratica a casa è stato il senso di quiete ed energia che l’insegnante diffondeva, con parole, gesti e sorrisi abbozzati.
Allora non sapevo definirlo, ma era contagioso. Ora lo chiamo stato di Qigong.
In ogni caso, è stato sull’apprendimento della tecnica che ho concentrato i miei sforzi, memorizzando posture e gesti, chiedendo al mio corpo precisione nel riprodurre le movenze dell’insegnante.
Una parte di me, però, cercava - più o meno consapevolmente - di impregnarsi del senso di rilassamento che percepivo intorno a me e di farlo mio.
Non sempre tecnica e stato di Qigong andavano di pari passo: nello sforzo di memorizzare sequenze e gesti, la mente razionale aveva il sopravvento e con essa il giudizio e l’insoddisfazione, nonostante, anzi, a volte proprio a causa delle continue correzioni che mi imponevo. Ogni tanto subentrava un senso di appagamento, che però durava ben poco, come un recipiente con una crepa, che si riempie a fatica, ma si svuota molto in fretta.
Vi erano anche dei momenti in cui, o per l’acquisita dimestichezza con l’esercizio, o per la sua semplicità, ma soprattutto complice un particolare stato d’animo, i gesti si succedevano con naturalezza e senza sforzo. Allora percepivo il Qi fluire e la mente critica si acquietava.
Col tempo ho maturato l’idea che lo stato di Qigong rappresenti non solo uno degli scopi della pratica, ma sia contemporaneamente anche un mezzo irrinunciabile per conseguirlo.
Quella che dal punto di vista della logica sembra costituire un’insanabile contraddizione, nella mia esperienza si è dimostrata essere un dato di fatto.
La tecnica è importante, ma resta sempre e comunque solo un mezzo al servizio dell’armonizzazione e del riequilibrio di corpo, Qi e mente.
Non è neppure possibile, secondo me, attribuirle un valore fisso e predeterminato; il suo grado di rilevanza varia a seconda della tipologia dell’esercizio, della condizione psicofisica di partenza, dello scopo - anche parziale - che ci si prefigge, del contesto in cui si opera e del ruolo che si svolge.
Ad es., nel Zhineng Qigong la sequenza per l’Integrazione di Corpo e Mente richiede più tecnica e precisione del metodo Sollevare il Qi in Alto, Riversarlo dalla Testa.
Chi è debole o malato, porrà maggiore attenzione a rilassare e nutrire, perseverando nella pratica con accettazione e gentilezza verso i propri limiti; una persona in salute potrà permettersi di spingersi oltre la sua zona di comfort, applicando maggior rigore e accuratezza nell’esecuzione, esponendosi a qualche dolore e rigidità passeggeri, ma confidando che persistendo senza accanimento si stempereranno e che potrà comunque confidare nella sua capacità di recupero.
Un insegnante o aspirante tale dovrà approfondire anche la tecnica: potrà così sia fungere da valido modello per gli altri praticanti, sia essere in grado di spiegare i requisiti degli esercizi e suggerire gli aggiustamenti appropriati. In questo modo, anche se non li eseguirà alla perfezione, trasmetterà agli allievi una pratica non viziata dai suoi limiti personali.
Nell’organizzazione di un ritiro, si troverà il tempo per le spiegazioni tecniche, ma sarà fondamentale sperimentare l’efficacia di una pratica prolungata nel tempo ed il suo espandersi naturalmente oltre gli orari dedicati alla pratica formale.

E’ inoltre essenziale imparare a riconoscere un ordine di priorità tra i - spesso numerosi- requisiti tecnici di un esercizio. Ad es., la prima parte della sezione nr. 7 della sequenza per l’integrazione di corpo e mente recita “Piedi in linea per aprire le anche” e la sua semplice lettura potrebbe scoraggiare chiunque non abbia alle spalle lezioni di danza classica. Si scopre poi che è anche richiesto di mantenere la schiena diritta col coccige verso terra, scendendo il più possibile, fino ad arrivare idealmente con le cosce parallele al terreno. Le ginocchia inoltre devono restare in linea con i piedi. Come conciliare il tutto? Avendo ben chiara la finalità dell’esercizio e venendo a patti coi propri limiti: senza inclinare la schiena in avanti o indietro, scenderemo quanto ci è possibile, badando che ginocchia e piedi restino in linea. Adottando una posizione più alta e riducendo l’apertura dei piedi verso l’esterno, preserveremo la salute di ginocchia e caviglie, agendo comunque efficacemente sull’apertura delle anche, che costituisce lo scopo principale dell’esercizio.
E’ quindi sempre necessario adattare la tecnica alle proprie condizioni e possibilità del momento.
Ritengo comunque controproducente concentrarsi esclusivamente sulla tecnica: il risultato è spesso stanchezza fisica e mentale, cui si aggiunge il rischio di trasformare un utile strumento di progresso in uno scopo da raggiungere, perdendo così di vista l’essenza del Qigong.
Se la tecnica viene coltivata fine a se stessa, svuota di sostanza la pratica e diventa d’ostacolo alla sua efficacia.
La mia prima insegnante di Qigong ogni tanto diceva: “Impara e dimentica”: applicando i requisiti tecnici richiesti per un’esecuzione corretta e rispettosa della propria condizione, apprendere movimenti e posture fino ad interiorizzarli, fino a che nella pratica scivolino in sottofondo.
E così, mentre il Qi permea ogni spazio ed il corpo si fonde con esso, mente e fisico si affidano al suo flusso ed è possibile intuire, percepire, “sapere”, come muoversi e come stare e, nel medesimo istante, senza frapposizione di pensieri, muoversi e stare. Come dal nulla, gesto e postura perfetti si palesano, si incarnano: perfetti per quel preciso momento, per quella condizione psicofisica, quello stato mentale ed emotivo. E tecnica e stato di Qigong diventano un’unica cosa.
Bio
Nel 1981 inizia a praticare Hata Yoga. Dal 2003 frequenta i corsi Qigong di Uta Platter, allieva di Wu Runjin; conseguito l’attestato di Istruttrice Qigong (2008), inizia a insegnare a Bolzano, ove vive e lavora come funzionaria pubblica. Dal 2013 collabora con l’Associazione Sudtirolese Malati Reumatici (Rheuma Liga), insegnando Qigong a persone affette da fibromialgia.
Nel 2014 ottiene il primo diploma di Operatore Qigong alla scuola Shen Ming di Firenze (tesi: Climaterio e Qi Gong. Dalla menopausa alla Seconda Primavera) e nel giugno 2021 il secondo, al termine del triennio di formazione dell’associazione Zhineng Qigong Italia con Ramon Testa (tesi: Il dolore nella pratica del Zhineng Qigong. Strumenti e considerazioni personali), nel cui Consiglio Direttivo entra nel dicembre dello stesso anno. Continua ad approfondire la conoscenza e la pratica del Zhineng Qigong seguendo stages e seminari di maestri italiani e stranieri, integrandola con la meditazione, in particolare Vipassana.



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