Qigong: la dimensione del prendersi cura
- Marialuisa Floriani
- 26 ago
- Tempo di lettura: 7 min
di M. Floriani #zhinegqigong #wuyuanzhuang

In questa pausa dai corsi, tenuti e seguiti, che scandiscono le mie giornate il resto dell'anno, si espandono tempi e spazi per la pratica e la "non pratica" personale. Perché sono questi momenti il banco di prova della pratica, formale ed informale.
Sono in India, in un piccolissimo centro ayurvedico. Gli unici "impegni" sono i massaggi ayurvedici. Per il resto, sta a me scegliere come trascorrere il tempo. Ho optato per il dolce far niente, che, per quanto allettante... Leggo qualche paragrafo di un saggio o di un manuale, ma soprattutto romanzi e novelle, studiacchio inglese e pratico Qigong.
Quando? Quanto? Come?
Non è stato così scontato trovare una risposta a queste domande. Non me le sono neppure poste esplicitamente, ma ora, mentre scrivo, mi rendo conto che c'erano, in attesa.
La risposta è affiorata via via, strutturandosi secondo uno schema semplice e lineare: mi dedico a queste attività - letture, studio, pratica - con regolarità, ma senza approfondire. Solo ogni tanto "capita", apparentemente per caso, che getti un'ancora nella profondità di un mare di conoscenze frammentate e di dubbi in attesa di emergere. Ma è solo un affondo, una sottile falce di luce che per la frazione di un attimo illumina, mostra e chiarisce. Non dura mai abbastanza, è come se l'ancora non trovasse il fondale e restasse a penzolare in balia del mare, come se la falce di luce si spegnesse troppo in fretta perché ciò che ha svelato si mantenga nitido.
Poca profondità, quindi, perlomeno nessuna ricerca di essa, neppure nella pratica formale: sorvolo sulla precisione del gesto, non mi soffermo nel decifrare sensazioni e percezioni. Ma mi sono scoperta ad apprezzare la regolarità, a trarne nutrimento e gioia.Regolarità nel sonno, nei pasti, nello studio, nella pratica.
E così, lentamente, inavvertitamente, gradualmente, ha preso corpo e consapevolezza una sfaccettatura del Qigong, della sua visione e della sua pratica, nonché della "non pratica", cui non avevo tributato - per indole, o abitudine, o mancanza di tempo, o affastellarsi di impegni, o una certa inquietudine interna - l'attenzione che, scopro ora, merita.
Potrei chiamarla la dimensione del "prendersi cura".
Non è tanto, o perlomeno, non solo, il concetto di cura che mi si è disvelato sotto una nuova luce, da un'angolatura diversa. Il Qigong, per me, è sempre stato "cura".
È il movimento insito in quel verbo, nel "prendersi": prendersi cura di sé, del proprio spazio, del proprio tempo. Comprende anche il permettere agli altri di prendersi cura di noi. Ed il lasciar scivolare in secondo piano il prendersi cura degli altri.
È una piccola scoperta, banale, forse, ma per me importante, a cui ha contribuito il dispiegarsi della "Quinta Stagione" (ho scoperto che in alcuni testi viene chiamata l'estate indiana) che sto vivendo in queste settimane senza orologio (se scrivessi "senza cellulare" mentirei). Una stagione lussureggiante e generosa, prodiga di sole e umidità, di palme, banane e noci di cocco. È un tempo fecondo, tutt'uno con la Terra che in lontananza si protende nel mare, che a sua volta si confonde col Cielo. Un tempo di nutrimento, per il corpo, la mente e lo spirito. Sono massaggi e pratiche, che muovono e smuovono il corpo, ma vanno a rinvigorire anche mente e spirito. È un mangiare per nutrirsi, godendo del cibo, dei suoi profumi e sapori, a volte strani, particolari. Un cibarsi così diverso dall'ingozzarsi per riempire vuoti, di stomaco e non solo, o dallo spiluccare per mettere a tacere un'agitazione sottile e indefinita, o ancora dal mangiare distratto, con la mente saltellante da un'attività conclusa, sì, ma però..., ad impegno futuro, che, chissà...
È studiare con piacere, e se non si capisce tutto subito, va bene lo stesso. È leggere alternando manuali utili e articoli interessanti a racconti fantastici.
È un lasciarsi massaggiare da mani esperte, e mentre gli oli compenetrano l'epidermide, immaginare che vadano a nutrire i tessuti membranosi, e permettere che l'immaginazione diventi percezione.
È lasciar emergere nella mente e nel cuore ricordi di momenti, luoghi e persone, e che importa se il tempo li ha un po' trasformati, forse pure trasfigurati.
È scoprire, ancora ed ancora, quanto nutra un sorriso, e, ancor più, il contraccambiarlo.
È un praticare per stare bene, scegliendo in libertà gli esercizi più consoni al momento, per scoprire che la scelta ricade sempre sugli stessi, perché regolarità e ripetizione non coincidono con noia e meccanicità, ma rimpolpano e danno solidità a fondamenta in cui si erano aperte delle crepe, o forse le crepe erano sempre state presenti, fin dalla prima gettata.
E così sto praticando la respirazione yin/yang (quella a narici alternate) ed esercizi a terra prima di colazione, la sequenza di terzo livello a metà pomeriggio, qualche esercizio di equilibrio e il metodo per sollevare e riversare il qi attraverso la sommità del capo la sera.
Ho scelto queste pratiche per motivazioni semplici e pratiche: sento il bisogno degli esercizi a terra, per muovere e rinforzare il fisico in un periodo in cui non mi sono possibili camminate ed escursioni; la sequenza di terzo livello la devo imparare ed approfondire; è stato l'istinto, o forse l'intuito, a farmi decidere per gli esercizi di equilibrio e la sequenza di primo livello. Mi sono ritrovata a dedicarmi a queste pratiche ogni giorno, più o meno sempre alla stessa ora e sempre nello stesso posto, la terrazza che si affaccia su una distesa di palme che sconfina nel mare.
Facile? Si, o perlomeno con così tante condizioni favorevoli come credo di non averne mai avuto. Così facile che, per come sono fatta, o credo (forse credevo di esserlo?), mi sarei lasciata prendere dalla noia nel giro di qualche giorno.
E invece....
La respirazione yin/yang mi aiuta a centrarmi ed entrare in contatto col respiro: un buon metodo per dissipare la vaga irrequietezza che accompagna a volte i miei risvegli o, più raramente, la sonnolenza che si protrae oltre il consueto. L'appoggio a terra di una superficie cosi ampia del corpo negli esercizi da distesa mi ricorda che la terra è accogliente, che posso affidarmi ad essa, la sento come la fonte di un qi che, denso e vibrante, scorre in muscoli e tendini, li allunga e modella. Mi trasmette concretezza e fiducia. Durante il resto dell'anno vivo gli esercizi a terra come l'introduzione o la chiusura dei "canonici" esercizi in piedi del Zhineng Qigong, e, se il tempo non è abbastanza, sono i primi a cui rinuncio. Dedicargli un'ora ogni mattina lo sto vivendo come un piccolo lusso.
A metà pomeriggio, spesso anche a metà mattina, mi dedico alla sequenza di terzo livello, le posture che riuniscono i Cinque Organi. Ne conosco la sequenza, ma non ho ancora confidenza con questo metodo, che lavora sul Palazzo Hunyuan, il centro energetico ove Cielo e Terra, Cuore e Reni, Yang e Yin si incontrano, e su quelli che la Medicina Tradizionale Cinese chiama i Cinque Organi: Cuore, Reni, Fegato (che ricomprende anche Milza), Pancreas e Polmoni. Essi rappresentano un sistema, che va al di là dell'organo anatomico, ricomprende tessuti, organi di senso, aspetti mentali ed emozionali. Per agire su un livello così profondo ed al contempo esteso, il Zhineng Qigong combina una serie di elementi: movimenti, mudra, mimica facciale, emozioni, suoni.
Memorizzare movimenti e mudra, ma soprattutto pronunciare correttamente il suono ed ancora più evocare l'emozione corretta ha rappresentato per me una sfida alla quale mi sono spesso sottratta. Con l'inizio dell'estate, senza i fine settimana di formazione, importanti traguardi parziali che ritmano l'apprendimento, sono tornata a trascurare la pratica di questa sequenza. L'ho ripresa in queste settimane.
Mentre prendo dimestichezza con una nuova serie di esercizi, la mente razionale svolge un ruolo che spesso eclissa quello della mente "saggia", che tutto contempera ed integra. Anche l'aspetto del prendersi cura, qui, sbiadisce e resta perlopiù come prospettiva futura.
Peraltro, questo tempo di dolce far niente, in cui ho delegato a condizioni e persone esterne l'onere di prendersi cura di me per alcuni aspetti del quotidiano (faccende domestiche, pasti, ma anche nessun impegno lavorativo e mondano, poche distrazioni digitali), ha consentito un approccio più consapevole e al contempo più leggero alla pratica delle posture che riuniscono i Cinque Organi. L'avere tempo per questa sequenza, ma anche per altri esercizi, unito alla regolarità nella pratica sono stati le carte vincenti per superare le mie resistenze. Nella tranquillità di questo luogo mi è inoltre più facile individuare il corretto grado di "diluizione" dell'emozione, fattore fondamentale per muovere il qi degli organi. E anche per lasciar andare quello stato d'animo, e tutti i suoi accessori - postura, mimica, l'eco del suono, la vibrazione che a volte echeggia nell'organo, per far posto all'emozione successiva, perché - mi dico - nulla è permanente.
Praticandoli, glisso su incertezze e dimenticanze. Quando rischio di perdermi nelle sottigliezze dei perché e dei come, volgo lo sguardo alla distesa di palme, al mare, al cielo tutt'attorno a me. Lascio andare dubbi ed elucubrazioni. Ci sarà tempo per esplorarli, indagarli. Ci sarà tempo per rifare, ripetere, migliorare, approfondire. Ora, va bene così.
Riservo al calare del giorno la ripetizione degli esercizi della gru del terzo livello e la pratica della sequenza di primo livello. Mantengo gli occhi aperti sulle palme, il mare, il cielo, sul volo elegante e silenzioso dei pipistrelli. Non compongo attivamente il campo di qi, c'è già, mi immergo semplicemente in questa natura frusciante di vita.
Pratico gli esercizi della gru del terzo livello perché mi piacciono, come tutti gli esercizi che si richiamano alla gru, e perché l'elemento dell'equilibrio presente in essi mi ricorda che ogni volta lo stesso esercizio non è mai acquisito, mai imparato, mai conosciuto a sufficienza. C'è sempre un aggiustamento da trovare, un sorprendersi a stare perfettamente in equilibrio per poi esitare e vacillare nuovamente. Ed allora torno a protendermi con lo sguardo verso un punto lontano, ritrovo l'aggancio, e lo ancoro nel profondo del ventre.
Chiudo la pratica quotidiana con Peng Qi Guan Ding Fa, il metodo per sollevare e riversare il qi dalla sommità del capo. È stato il primo metodo che ho imparato, ma, per iniziare ad apprezzarlo al di là del lato estetico, ho dovuto passare attraverso la pratica del secondo livello, il metodo per l'integrazione di mente e corpo, più simile agli esercizi di qigong che già conoscevo. Per me non è mai stato così naturale come qui praticare questa sequenza dalle 1.000 sfumature. È lasciare che l'interno si espanda all'esterno e l'esterno compenetri l'interno, senza impeto o stravolgimenti, con rispetto reciproco e naturalezza, fino - a volte - a fondersi in un tutt'uno.
È percepire, pur se confusamente, il qi centrato e armonico.
È essere, anche solo per un attimo, centrata e armonica, dal profondo all'infinito.
È la chiusura di una giornata semplice e preziosa, un atto di gratitudine a questa terra.
Da qualche giorno, prima di raccogliere il qi nel Dantian, formulo silenziosamente l'impegno di prendermi cura: di me, ma anche degli altri e della Natura. E anche, ogni tanto, di permettere a qualcun altro di prendersi cura di me, come sto facendo ora, qui, ma senza dimenticare che la responsabilità di me stessa, dei miei pensieri, emozioni ed azioni è sempre e comunque mia.
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