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"Senza peso" è il Qigong nel quotidiano

  • Immagine del redattore: Sabina Cini
    Sabina Cini
  • 3 giorni fa
  • Tempo di lettura: 4 min

Cosa chiediamo a noi stessi quando pratichiamo Qigong di S. Cini



Grazie alla pausa estiva dalla pratica ordinata, guidata e cadenzata di Qigong mi sono vista a interrogarmi su cosa chiedo a me stessa quando pratico e perché lo faccio. 

Ogni volta che inizio la mia giornata praticando,  ascolto e mi lascio guidare da ciò che 'sento' utile per il mio corpo, talvolta primo livello, oppure alcuni esercizi del secondo, il  saliscendi o gli esercizi con la sfera. Ascolto e valuto; a volte appare in modo chiaro, a volte è come cercare l'istradamento, quella frequenza d'ascolto più sottile che mi rivela le disarmonie e le necessità. Collo di Gru generalmente lo osservo come un massaggio che va a sciogliere poco per volta le tensioni nel collo e nella zona cervicale, man mano lungo tutta la colonna così quando pratico è come se andassi a stimolare la circolazione del Qi in un corpo in cui non sono totalmente identificata, questo avviene principalmente se lascio che i movimenti si ripetano, senza meccanicità, talvolta distratta, ma poi riagganciata a quella sensazione di morbidezza e fluidità. Lo stesso accade per i saliscendi che vanno ad aprire zone del corpo che si rivelano contratte o chiuse, soprattutto quando si privilegia il rilassamento invece dell'azione; al contempo mi accorgo che anche il respiro e la zona del plesso solare gode di questo ampliamento di confini. 

Nella forma di primo livello sento il permeare del respiro della natura all'interno dei pori della pelle e proprio quando fa molto caldo è come se si aprissero finestre in ogni spazio, questo accade anche in una pratica di 15-20 minuti, basta darsi il tempo per staccare e dedicarsi esclusivamente all'ascolto e all'osservazione.  


Accade anche quando mi metto a fare stretching o esercizi ginnici che mi venga naturale dare attenzione ai movimenti interni, per non contrarre inutilmente, per non creare blocchi, perché si è costruita un'abitudine. 

E questa abitudine ha radici in una pratica costante e mi porta a porre l'attenzione a ciò che accade quando ci si interfaccia con l'altro, o quando vedo qualcun altro, un amico o un conoscente interfacciarsi in modo diverso dal mio. Così mi accorgo di indossare lenti colorate che però talvolta hanno la qualità di rendermi più chiaro dove sono gli attriti.

Anche quando ci convinciamo di agire con 'spontaneità' e 'naturalezza' spesso lo facciamo senza renderci conto di indossare i nostri occhiali e spesso anche di avere una sorta di luce a Led lampeggiante sulla testa con su scritto 'IO'.

Così l'esterno diventa una comparsa del teatro dell' 'IO', dove il protagonista usa un po' l'altro per sentirsi ascoltato, servito o anche 'maltrattato' . Questo accade quando entriamo nella meccanicità (un po' come quando ci imponiamo di 'fare' gli esercizi). Quando indossiamo il dogma 'sono fatto così' e l'approccio con l'esterno è solo lì per confermare il nostro credo. Osservo come certe aggressioni siano gratuite e spesso abituali con familiari, commessi di un negozio o anche amici, come sia consueto urlare o sottoscrivere sentenze che crediamo ci rappresentino. 


Ma come avviene con le tensioni fisiche e i blocchi di Qi, anche i meccanismi della personalità sono lì per essere scovati.  Perciò mi rendo conto che in questa sceneggiatura spesso ripetitiva e stancante la chiave è la gentilezza. Sembra banale, ma la gentilezza mi mette in uno stato di attenzione e ascolto, non è una maschera per evitare il contrasto con l'altro o per essere 'bravi'.  Attraverso questa mi concedo di prendermi un attimo di respiro prima di agire e osservo un po' a distanza lo scenario che sto per affrontare anziché tuffarmi nelle azioni consuete , nei giudizi e negli atteggiamenti abituali. Da questo punto di osservazione privilegiato mi rendo conto che quel grido 'IO', 'ma IO' ha la consistenza di un soffio, ma crea mura di cemento ogni volta che mi sento rappresentata da ciò. Grazie a questa convinzione granitica posso sentimi  'peggiore' o 'migliore'.  

In effetti spesso la causa maggiore di contrasto o di stress deriva dalla 'pesantezza', dal sentire il peso del 'ruolo' che abbiamo nella società, nella famiglia, nel lavoro e magari anche come 'praticanti' o insegnanti di Qigong.

La soluzione al trasportare i fardelli è 'alleggerire' il carico. E come si può alleggerirsi se in ogni contesto ci sentiamo 'protagonisti' e magari anche un po' 'registi'? Ci fermiamo, rallentiamo e proviamo a cogliere quella parte di noi che ha la consistenza di un respiro, o meglio di un soffio. Se vogliamo ascoltare il sussurro dobbiamo avvicinarci un poco, c'è un'intimità da costruire con questa parte di noi inascoltata, abituati come siamo alle 'grida' e alle sentenze dell' 'IO protagonista'. Non è semplice, ma veramente, molto molto più appagante, perché proprio per la natura lieve che la caratterizza riesce ad arrivare nel profondo e trasmutare la superficie. 


Questa conclusione è affiorata grazie all'osservazione di dinamiche nella vita di tutti i giorni, ma si possono notare gli stessi accadimenti durante la pratica perché mi accorgo di come la mia mente si interfacci in modo ostile nei confronti di certe rigidità o come 'aggredisca' ciò che non le piace (certi blocchi che si rivelano o pensieri catalogati come inopportuni alla pratica). Così il mio 'condannare' lo svago della mente ha lo stesso sapore del 'giudizio' quando sorprendo un atteggiamento che definisco irrispettoso. 

Per questo, per sedimentare la buona abitudine di farci caso, la pratica mi aiuta anche quando appare fugace e poco regolare. In fondo l'intento di 'voler stare bene' è più che legittimo, ma lo scopo più profondo è quello di rivelare o svelare ciò che ci allontana dall'armonia a ogni livello. 


Diciamo che la differenza secondo me la fa lo 'spessore' del sentire, c'è uno strato più grossolano che chiamerei l'io che si vuol far sentire (anche quando fa la vittima.. non solo quando fa il prepotente) e un velo più sottile ma stabile e 'centrato' che si fa spettatore di questo gioco di parti.  Avviene nella pratica e avviene nel quotidiano, questo è ciò che sto raccogliendo in questa stagione di mietitura, e il condividere ha l'unico scopo di indicare un possibile approccio a ciò che ci accade e anche per diffondere la buona abitudine del 'farci caso' nel quotidiano. 


Immagine di @elmaurer scaricata da Unsplash

 
 
 

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